Fuat Sunay nasce in Turchia e dopo gli studi in Ingegneria del Suono lascia Instanbul per l’Italia, dove in seguito si trasferisce a Torino e continua gli studi al Conservatorio e produzione musicale per cinema e Tv al DAMS.
Il suo percorso musicale, però inizia già nell’infanzia. Si avvicina alla musica da bambino e da subito capisce, che il mondo delle sette notte sarà quello che gli consentirà la massima espressione della sua arte. Qualche anno più tardi scoprirà l’amore definitivo: il sassofono. Ha collaborato con molti musicisti e cantanti, suonando nei loro progetti e scrivendo le melodie.
Il tuo sogno Fuat Sunay è sempre stato nella musica?
«Sì, a sei anni volevo diventare batterista, ma negli anni novanta non era facile farlo, senza irritare i vicini. Al liceo, già avevo approcciato molti strumenti ed ero entrato a far parte dell’orchestra. Poi, a Instabul ho studiato in un’accademia privata di Sound Design. Una volta terminato questo percorso mi sono trovato a collaborare con molti artisti turchi. Poiché desideravo continuare la mia carriera in Europa mi sono trasferito in Italia, anche in base alla scelta del Conservatorio».
Sei arrivato a Milano, ma poi, per vivere hai scelto Torino. Perché?
«Ho fatto diverse cose allo IED e ho preso anche il 50% per una borsa di studio ma mi sono trovato, ancora studente e giovanissimo, in una città come Milano e ho pensato che in una realtà più compatta mi sarei trovato meglio, anche da un punto di vista di istituti pubblici. Così ho scoperto Torino, dove poi ho proseguito i miei studi, sempre continuando a suonare in giro. Sono legato a Milano e poi, Torino non è lontana. Ho fatto anche la mia tesi su The Voice of Italy. In quel periodo ho scoperto il sassofono».
Ed è stata una folgorazione.
«Sì. Suonavo tanto i fiati e alcuni musicisti con i quali facevo molti eventi, me l’hanno consigliato. Così è nato l’amore tra me e questo strumento. Ho capito all’istante, che quella era la mia direzione, la carriera che volevo. Così ho trovato un altro conservatorio a Torino e nel frattempo ho trovato un bravissimo Maestro, Emanuele Cisi. Così mi sono laureato e sono arrivato dove sono adesso».
Quale progetto che ti dato maggiori soddisfazioni?
«Suonando con tanti artisti internazionali ho avuto modo di creare anche il mio progetto attuale “Sax House”, una combinazione tra musica elettronica e sassofono e oggi, su tutte le piattaforme, gli ascolti ci stanno premiando, soprattutto in Italia, ma anche negli Stati Uniti e in Francia. Sto girando tanto e sono felice, anche perché mi esibisco in posti bellissimi».
Ami eseguire i brani personalizzandoli. Quanto è importante lasciare la propria firma?
«Un bravo artista dovrebbe lasciare la sua firma. Va bene non intaccare lo stile, perché c’è una massa che richiede quel tipo di musica, però è importante donare sempre nuove emozioni e con la personalizzazione si riesce a fare».
Sei ingegnere del suono. Rispetto alle tue competenze sei d’accordo con chi attacca la qualità della musica radiofonica di oggi?
«Sono dell’idea che sia importante fare musica con gusto e raffinatezza. È necessario studiare a fondo la musica, perché non siamo negli anni ’50. Oggi la musica deve funzionare per le piattaforme e per i social, non viene ascoltata sulle musicassette. Ci sono alcuni artisti, che di musica sanno poco e di conseguenza, il risultato è un po’ vuoto. Va bene fare musica commerciale, ma sempre con gusto. Per me, l’arte non va fatta per se stessi ma per gli altri. È elemento di condivisione. Amo donare emozioni».
Perché il sax è considerato così romantico ?
«Per il suo suono molto caldo, lo stesso motivo, per cui forse mi chiedono sempre di suonare “Careless Whisper” di George Michael».
Ti è rimasto il sogno della batteria?
«Sì, infatti quando ero al Conservatorio, poi l’ho studiata e mi piace suonarla, ogni volta che me la trovo davanti. È l’essenza del ritmo e il mio secondo amore, dopo il sassofono».
A cura di Mario Altamura