Piemontese doc, appassionato da sempre di cinematografia, Alberto Barbera è stato per ben due volte il direttore artistico della Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Sin dai tempi della laurea in Lettere Moderne, ha sempre avuto modo di lavorare nel mondo della cinematografia fino a diventare direttore del Torino film festival, carica che ha ricoperto fino a quando non è stato chiamato a prendere le redini della mostra in laguna.
Abbiamo approfittato di una manciata di minuti dopo il rientro dal suo ultimo viaggio di lavoro negli USA per farci raccontare qualcosa di lui e lo ringraziamo molto considerando che non è uomo che ama molto concedersi alla stampa.
– Alberto, lei mastica di cinema da sempre, un lavoro come critico cinematografico ancor prima di dirigente di varie istituzioni fino alla direzione artistica della Mostra del Cinema di Venezia. Cosa ha scatenato la sua passione e cosa ricorda del suo periodo d’esordio lavorativo?
La mia passione è nata in un piccolo cinema parrocchiale nel paese dove sono cresciuto, vicino a Biella. Avevo cinque anni quando ho iniziato a frequentare regolarmente le proiezioni del fine settimana, e sin da subito ho deciso che da grande avrei voluto lavorare nel cinema. Prima come attore, poi come regista, ma quando ho capito che occorre un grande talento che sentivo di non possedere, ho deciso che avrei trovato un altro modo per occuparmene. L’occasione è venuta presto: ero ancora all’Università, all’inizio degli anni ’70, quando ho iniziato a collaborare con l’AIACE, l’associazione dei cinema d’essai di Torino. Facevo un po’ di tutto: redazione di schede informative sui film, organizzazione di rassegne e omaggi, presentazioni di film in anteprima. Poi sono stato il critico cinematografico della Gazzetta del Popolo, sino alla chiusura definitiva del quotidiano nel 1983. Per fortuna, un anno prima, era nato a Torino il Festival Internazionale Cinema Giovani (poi Torino Film Festival), che mi ha offerto un lavoro. Da Segretario Generale sono passato alla Direzione nel 1989, esperienza che mi ha aperto le porte della Mostra del Cinema di Venezia nel 1998. Sono stati anni di grandi emozioni, e di intensa formazione professionale. Ho imparato un mestiere facendolo, e sbagliando: è solo così che s’impara quando non esiste una scuola in grado di istruirti in quello che più che un mestiere vero e proprio, continua ad essere una passione sostenuta da una notevole esperienza maturata nel corso degli anni.
– Se dovesse scegliere i 3 momenti più importanti della sua carriera a quali film o momenti cinematografici li abbinerebbe?
Quando ero Direttore del Torino Film Festival è esploso il successo internazionale dei cinema iraniano, prima di allora pressoché sconosciuto. Ho contribuito a far conoscere in Italia i film di Mohsen Makhmalbaf, Abbas Kiarostami, Amir Naderi, Rakhshan Bani-Etemad e Jafar Panahi. Quest’ultimo vinse poi il Leone d’oro a Venezia con il suo secondo film, “Il cerchio” nel 2000. Il secondo momento indimenticabile è il mio esordio alla Mostra del Cinema di Venezia: non poteva iniziare in modo migliore, se si pensa che il film d’apertura di quell’anno fu “Eyes Wide Shut” di Stanley Kubrick, con Tom Cruise e Nicole Kidman in lacrime sul palco (insieme a Bernardo Bertolucci ) a commemora il grande regista scomparso da poco. Infine, il mio del tutto imprevisto ritorno a Venezia nel 2012, con la giuria presieduta da Michael Mann e il film “The Master” di Paul Thomas Anderson in concorso. La Giuria avrebbe voluto dargli il Leone d’oro come miglior film, premiando al contempo i due protagonisti (Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix) per la loro straordinaria interpretazione. Il regolamento non consentiva di sommare i premi, così il Leone doro andò a Kim Ki-duk per il film “Pietà”: un bel riconoscimento anche per me, che avevo contribuito a far conoscere il regista coreano con un film che fece scalpore alla Mostra del 2000 (“L’isola”).
– Da poco ha festeggiato il suo 74 compleanno, quale regalo possibile o impossibile Le sarebbe piaciuto ricevere?
Ho avuto moltissimo dalla vita, sia in termini professionali che familiari. Il successo nella carriera si accompagna alle soddisfazioni di una bella famiglia, con una bellissima moglie e tre figli in età molto diversa che sono fonte di grande gioia e soddisfazioni. Non desidero altro, se non che tutto questo possa continuare ancora a lungo, offrendo un contraltare positivo a un mondo di inquietanti tensioni politiche e sociali
– Amadeus in questi ultimi 5 anni ha fatto molti cambiamenti al Festival di Sanremo per allargare il target di ascoltatori, anche Lei ha in serbo qualche novità e se si quale per la prossima edizione della Mostra del Cinema di Venezia?
Nulla di sostanziale, se non piccoli aggiustamenti continui che intendono rimediare alle inevitabili lacune che si manifestano anno dopo anno. La Mostra si è rinnovata parecchio, e molte novità sono state introdotte progressivamente negli ultimi 10-12 anni , che hanno contribuito al suo successo mondiale. Ora la formulami sembra funzionare perfettamente, è largamente apprezzata e non vedo motivo di fare grandi cambiamenti.
– In chiusura Le chiedo quasi sono i suoi 3 idoli che non ha mai abbandonato di seguire…
Abbas Kiarostami, perché è uno dei più grandi registi del cinema moderno, un artista straordinario e un uomo di grandissima umanità. Ho avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto con lui per una imponente ‘personale’ organizzata dal museo del Cinema di Torino nel 2003, e da lui ho appreso un’enormità di cose. François Truffaut, perché i suoi film e i suoi scritti sono stata la mia educazione al cinema, mentre “Jules e Jim” ha contribuito in maniera determinante alla mia educazione sentimentale. E poi Michel Cimino, che ho conosciuto e frequentato a lungo, ed ha esercitato su di me una grande influenza in virtù della sua personalità magnetica e lo straziante parabola della sua ascesa e caduta a Hollywood. Uno dei grandi registi di quella generazione, costretto all’inattività quando era nel pieno della sua immaginazione creativa.