Sono 20 anni che la sua straordinaria voce e la sua incredibile allegria ci tengono compagnia solo alla radio e, la scorsa settimana, in tv grazie al film Tv a lui ispirato. Renato Carosone è uno di quegli artisti che l’Italia ha vantano nel mondo per quasi mezzo secolo. E probabilmente non sarebbe stato così se non fosse per Sandrino Aquilani, 76 anni, il discografico che, dopo l’abbandono dalle del cantautore napoletano, non l’avesse convinto a tornare a far musica e divenendo nel tempo il suo più grande amico oltre che il suo ultimo manager e produttore.
Sandrino, come vi siete conosciuti lei e Renato Carosone?
Ero stato invitato ad un concerto di beneficienza tenuto da Renato Carosone a Viterbo, verso la fine degli anni ’70. Io ero un giovane industriale del regno e lui, che aveva parecchi interesse per il mio settore, essendo a quei tempi immerso nella pittura, mi chiese delle cornici esclusive per i suoi quadri. Incredibilmente dopo qualche giorno si presentò nell’azienda di mio padre, indossando il camice verde e mettendosi al lavoro con mio padre. Tutto è cominciato così.
Perché ha deciso di farlo tornare sulla scena musicale?
Cantavo le sue canzoni già quando portavo i calzoni corti, era un mito per me. Iniziammo a frequentarci, pannando serate al pianoforte, a casa mia e spesso fino al mattino. Potete immaginare con un personaggio così famoso c’erano sempre molti amici. Renato si raccontava volentieri, ma glissava sulle ragioni vere del suo ritiro dalle scene. Più lo conoscevo e più capivo che la musica era la sua vera grande unica passione. Io lo stuzzicavo, per cercare di convincerlo, avendo io un’etichetta discografia. Ci sorrideva su e tutto finiva lì. Ma io non demordevo, ero certo che prima o poi l’avrei spuntata.
Com’è riuscito a convincerlo?
Probabilmente con la mia insistenza. Dopo un paio d’anni dal nostro primo una domenica mattina mi chiese se potevo raggiungerlo a casa sua a Bracciano, che doveva parlarmi. Devo essere sincero, avevo lavorato perché il rientro avvenisse e in pompa magna. Aveva partecipato a una delle quattro trasmissioni su RAI 1 dal titolo “A come Alice”, e la sua era stata scelta dai vertici RAI per partecipare al Festival delle televisioni in Lussemburgo. La sigla finale era un nuovo pezzo inedito che io avevo sentito tante volte nelle serate a casa mia, dal titolo “Io tengo n’appartamento… a New York”. Mi disse che gli sembrava sciocco andare in eurovisione e non avere il disco con la nuova canzone nei negozi. Un mese dopo Carosone esce con il primo 45 giri dopo anni di silenzio discografico realizzato dalla mia piccola etichetta, denominata Lettera A in distribuzione alla CGD di Milano
Che cosa aveva spinto il cantautore napoletano a rinunciare alla musica?
Nel 1960 arrivavano i Beatles, che noi chiamavamo i capelloni. I giovani erano tutti per la nuova ondata musicale che sembrava travolgere tutto e tutti. Lui doveva decidere se farsi crescere i capelli, o rischiare di essere buttato giù dal palco, come era già successo a qualche suo collega…Decise per il ritiro, in bellezza, sulle ali di un successo che non avrebbe mai immaginato. C’era dell’altro, capii che era stanco di gestire, prima un Trio, poi una orchestrina di otto elementi. Aumentavano le esigenze, e mantenere gli accordi, non quelli musicali, era sempre più difficile. Così disse basta.
Che tipo di rapporto vi ha legato?
Magnifico. Amicizia e musica, sempre con la A maiuscola. Poi un legame familiare, è il padrino del mio primo figlio Giorgio Onorato, che se lo prese in cura anche “pianisticamente”. Appena nato mi disse: a questo ci penso io. Spesso si incontravano per farsi lezione a vicenda, ma finiva sempre con Renato che diceva “cumpariè andiamo sulla tastiera del pianoforte che lì ce la caviamo tutti e due, su questa del computer ci capisci solo tu”. Mio figlio Giorgio aveva solo dodici anni, e già a scuola mandava avanti la sala d’informatica.
Sappiamo che nel 1989, anno del suo ritorno a Sanremo, con la canzone “Nà canzucella doce dice” era calato il freddo. Come mai?
Mi sarebbe piaciuto molto essere della partita sanremese, ma non fu possibile, quel brano non era adatto a lui. Fu Claudio Mattone, autore di quella canzone, colui che lo convinse, contro la mia volontà, ad andare al Festival con un brano che poi, come immaginavo, non ha lasciato nessun segno. Avevamo scritto una canzone insieme “Fortuna che sei qui”, pensata per Mina. Credo che se l’avesse cantata lui in quel Sanremo sarebbe nata un’altra “Maruzzella”. Per la verità qualche mese fa l’ho inviata a Mina, sarebbe una bella cosa per il centenario di Renato.
E nella vita privata chi era Renato Carosone?
Un uomo simpaticissimo. Faceva battute fulminanti, io l’ho anche definito il filosofo della canzone. Amava a dismisura la sua Napoli e ne soffriva quando veniva bistrattata. Una volta mente lavorava alle cornici con mio padre, arrivò un mio amico chitarrista soprannominato Baffone per i suoi grandi baffi. Non aspettandosi di vedere Renato in camice dentro una falegnameria, gli uscì dalla bocca un incauto: “Buscaglione!”, e lui senza scomporsi “non ancora…”. Aveva anche le sue paure, aveva sofferto delle cocenti sconfitte, specialmente nel periodo fuori dalla musica. Ma questa è un’altra storia.
ENRICO SANTAMARIA aka SANTY